Pena pecuniaria
Oltre ad essere una delle pene principali (si chiama multa per i delitti ed ammenda per le contravvenzioni), è anche una delle sanzioni sostitutive (vedi) di pene detentive brevi previste dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, “Depenalizzazione e modifiche al sistema penale”, artt. 53 e seguenti.
Il giudice può concedere la conversione della reclusione in pena pecuniaria se la condanna ha comminato una pena detentiva inferiore a sei mesi.
Per determinare l’ammontare della pena pecuniaria, il giudice individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l’imputato, tenendo conto della condizione economica complessiva del nucleo familiare dell’interessato, e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva.
Il valore giornaliero non può essere inferiore alla somma indicata dall’art. 135 c.p., cioè 250 euro, e non può superare di dieci volte tale ammontare. (La legge 15 luglio 2009, n. 94, “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, all’art. 3, c. 62, ha portato l’importo giornaliero da 38 a 250 euro).
La conversione della reclusione in pena pecuniaria è competenza del giudice, non del magistrato di sorveglianza, al quale invece ci si deve rivolgere per chiedere, in caso di difficoltà economiche, la rateizzazione della pena pecuniaria (vedi).
Qualora le difficoltà economiche non siano temporanee ma impediscano permanentemente il pagamento della pena pecuniaria, il magistrato di sorveglianza può disporne la conversione: in tal caso il condannato sconterà in regime di libertà controllata (o in altre forme di lavoro sostitutivo) tanti giorni quanti corrispondono all’entità della pena pecuniaria divisa per 250 euro.
La pena pecuniaria va sempre pagata: può essere rateizzata o convertita in altra pena ma non rimessa (cioè eliminata). Non va confusa con le spese di giustizia (vedi) (processo e mantenimento in carcere), che possono non essere pagate chiedendo la remissione del debito (vedi)