Viterbo – Le autorità egiziane di nuovo a Viterbo, per seguire da vicino quello che sta diventando sempre più un caso diplomatico e internazionale. Il caso Hassan Sharaf, il 21enne egiziano trovato impiccato in una cella del carcere di Mammagialla da cui sarebbe uscito a inizio settembre. Dopo l’incontro di giovedì tra il console Sherif Elgammal e il procuratore Paolo Auriemma, che sta coordinando le indagini per istigazione al suicidio, ieri è arrivato a Viterbo il primo segretario dell’ambasciata d’Egitto a Roma. E si è interessato all’esame autoptico che in mattinata la procura ha disposto e fatto eseguire sul cadavere di Sharaf.
Il medico legale Luigi Cipolloni si è preso sessanta giorni di tempo per poter depositare la perizia. “L’ambasciata e la famiglia Sharaf – fa sapere l’avvocato di parte Giacomo Barelli – hanno piena fiducia nella magistratura viterbese e per questo non hanno nominato propri consulenti”. Gli esiti dell’autopsia, insieme a quelli degli esami tossicologici, serviranno a chiarire le cause della morte del 21enne e a confermare o meno l’ipotesi del suicidio. “Ma – sottolinea l’avvocato Barelli – diranno anche, perché lo abbiamo espressamente chiesto, se sul corpo di Sharaf ci sia ancora traccia delle lesioni e dei tagli che aveva denunciato a marzo”.
Stando a un esposto di Stefano Anastasia, garante dei detenuti di Lazio e Umbria, il 21enne avrebbe “riferito di essere stato picchiato da alcuni agenti di polizia” e di aver “chiesto aiuto dicendo di avere paura di morire”. Su quest’episodio la procura di Viterbo aveva già aperto un fascicolo d’indagine. Ma per resistenza a pubblico ufficiale e in capo a Sharaf. Perché, stando sempre all’esposto del garante, che cita la provveditrice dell’amministrazione penitenziaria, “la colluttazione con i poliziotti sarebbe avvenuta a seguito della resistenza opposta da Sharaf e dal suo compagno di stanza a una perquisizione della loro camera da cui avrebbero svolto un traffico di psicofarmaci”. Il fascicolo è poi stato archiviato.
Prima dell’autopsia il cugino di Hassan, Mohamed Sharaf, che vive a Roma, è stato sottoposto al triste rito del riconoscimento. “L’ho sentito poco prima della morte – ripete riferendosi al cugino -, sono scioccato”. La salma di Hassan è poi stata restituita alla famiglia, e questa mattina verrà sottoposta al rituale islamico del lavaggio. A scopo di purificazione spirituale. Il feretro verrà poi rimpatriato in Egitto. Giovedì, quando lascerà Viterbo per la Capitale. E da Fiumicino verrà imbarcato su un aereo.
“L’ambasciata egiziana e i familiari di Sharaf vogliono che sia fatta luce sull’intera vicenda – ribadisce l’avvocato Barelli -. E la faremo, affinché non rimanga alcun dubbio. Approfondiremo quanto denunciato dal garante dei detenuti, a partire dalla giusta o meno detenzione a Mammagialla e fino ad arrivare all’accertamento sull’idoneità di Sharaf di stare in isolamento”. Secondo Anastasia, “Hassan non doveva essere a Viterbo. Gli ultimi mesi che gli restavano da scontare – spiega -, erano per una vecchia condanna del tribunale per i minorenni. E quand’è così la legge consente ai giovani adulti, ovvero ai ragazzi tra i 18 e i venticinque anni, di espiare la pena in un istituto minorile”. Ma il ventitré luglio Sharaf viene messo in isolamento. “Per scontare – evidenzia il garante – la sanzione disciplinare risalente ai fatti di marzo”. Resiste due ore e si impicca alle sbarre della finestra della cella. Una settimana di agonia nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Belcolle, e poi la morte. A soli ventun anni e a un mese dalla scarcerazione.
Raffaele Strocchia
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