Un carcere senza sbarre e dal design innovativo, non grigio ma luminoso, con spazi ampi, luoghi di incontro e giardini rigogliosi, ma soprattutto in grado di garantire una detenzione dignitosa e un effettivo percorso di rieducazione. E’ stata già ribattezzata “la prigione del futuro” e aprirà i battenti nel 2021 a Wellingborough, città della contea del Northamptonshire, in Inghilterra, nota per aver dato i natali a Thom Yorke, frontman dei Radiohead. Il nuovo istituto di pena, che costerà 253 milioni di sterline e ospiterà circa 1.600 detenuti, fa parte del maxi piano da 2,5 miliardi di sterline annunciato dal primo ministro del Regno Unito, Boris Johnson, per risollevare un sistema penitenziario ormai in ginocchio e al centro delle preoccupazioni internazionali: oltre 84 mila detenuti reclusi (il numero più alto nell’Europa occidentale), sovraffollamento cronico, aumento degli episodi di violenza, suicidi e morti in carcere, riduzione costante del personale penitenziario, alto tasso di recidiva. L’imbarazzo delle autorità britanniche ha toccato il punto di non ritorno lo scorso maggio, quando un tribunale olandese ha deciso di bloccare l’estradizione nel Regno Unito di un trafficante di droga per il rischio che l’uomo potesse subire un trattamento “inumano e degradante” nel carcere di Liverpool, dove sarebbe dovuto essere recluso.
Il governo sembra ora voler affrontare di petto l’emergenza, dando il via a un piano di assunzione di circa 20 mila agenti penitenziari e alla costruzione di nuovi istituti di pena in grado di ospitare altri 10 mila detenuti. In questo quadro c’è spazio anche per l’esperimento del nuovo carcere di Wellingborough, che, affidato allo studio di architettura di fama mondiale Bryden Wood, mira a realizzare “la più grande riprogettazione del carcere dall’epoca vittoriana”. Niente più sbarre alle finestre, grazie all’impiego di vetri rinforzati. Niente più struttura “Panopticon”, secondo il modello elaborato alla fine del ’700 da Jeremy Bentham, con un edificio centrale dal quale si dipanano i vari bracci con le celle dei detenuti, ora sostituita da una forma a croce, in cui i lunghi e anonimi corridoi si riducono in zone più piccole e più sociali, permettendo al personale carcerario di sviluppare migliori relazioni con i detenuti attraverso un contatto più diretto. Niente più oscurità, con la presenza di ampi cortili che si affacciano ai giardini e di un centro visite arioso e circondato da strutture in legno. Ma, soprattutto, niente più abbandono dei detenuti alla noia e alla solitudine, grazie a un unico hub centrale che fornirà istruzione, formazione professionale e servizi sociali.
Come raccontato dal Guardian, il “carcere del futuro” è stato disegnato grazie all’impiego della tecnologia della realtà virtuale, che ha consentito agli architetti di esplorare e testare gli innumerevoli layout con il personale carcerario, modificando le larghezze e le lunghezze dei corridoi, regolando le altezze del soffitto e modellando l’acustica per trovare un layout che garantisse un equilibrio tra riabilitazione dei detenuti ed efficienza operativa. Anche in Italia, per certi versi, le tecnologie della realtà virtuale hanno fatto il loro ingresso in carcere. Basti pensare che l’unico film italiano in concorso nella categoria “Venice Virtual Reality” della 76esima edizione della Mostra del cinema di Venezia è un cortometraggio realizzato all’interno della casa circondariale “Lorusso e Cutugno” di Torino. Si intitola “VR Free”, è diretto dal regista iraniano Milad Tangshir e consente di esplorare in prima persona gli spazi detentivi, catturando momenti salienti della vita in carcere. Nel film si vedono anche le reazioni di alcuni detenuti che, con l’aiuto dei caschi VR, riescono a partecipare virtualmente ad alcune situazioni collettive e intime che non sono più alla loro portata, come una passeggiata in un parco o una partita allo stadio.
Il Regno Unito, insomma, prova a guardare al modello di carcere scandinavo (senza sbarre, senza celle e con una vera rieducazione dei detenuti), ma con un grande paradosso: i dati dimostrano che la costruzione di nuove carceri determina sempre un aumento della popolazione carceraria. Se non accompagnata dalla chiusura delle strutture più fatiscenti, la strategia di Johnson rischia di consegnare al Regno Unito un sistema penitenziario con pochi casi virtuosi (come quello di Wellingborough) e la sopravvivenza di decine di carceri inadeguate a svolgere la loro funzione rieducativa, con uno scarso impatto sul tasso di recidiva dei condannati. Un paradosso diverso, ma non troppo, sembra affliggere l’Italia, dove il numero di reati continua a scendere, ma le carceri sono sempre più sovraffollate (aumenta il tasso di detenzione): i detenuti reclusi nelle carceri italiane sono 60.254, a fronte di una capienza di 50.480. Ma nel nostro paese sembra non esserci alcuna intenzione di affrontare lo stato di illegalità del sistema penitenziario.
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