LEGGI E NORME
Rischio evasione per gli arresti annunciati
09/05/2020
“Abbiamo dovuto raddoppiare i turni di sorveglianza e allertare tutti i servizi, aver annunciato il decreto per riportare in carcere i boss che hanno ottenuto gli arresti domiciliari non è stata una grande idea…il rischio evasione è molto alto”. Il vicequestore è in servizio in una delle regioni d’Italia dove sono tornati almeno una dozzina dei 376 scarcerati nelle scorse settimane. Chiede comprensibilmente di restare anonimo. E lancia un vero e proprio allarme spiegando come stanno vivendo da un paio di settimane gli apparati dedicati alla sicurezza dello Stato quella che è una polemica politica, la sfiducia a un ministro, le possibili conseguenza sulla tenuta del governo. “Quelle 376 scarcerazioni, che tanto quello sono nei fatti, sono una sconfitta per lo stato di diritto, per gli uomini e le donne delle forze di polizia che magari hanno impiegato anni per rintracciarli e arrestarli interrompendo latitanze più o meno dorate, per i magistrati che hanno svolto le indagini e condotto i processi, per i cittadini che pagano le tasse per avere, anche, la certezza delle pena. Adesso ci manca solo che uno di questi riesce a far perdere le tracce”.
Ecco cosa succede nella vita reale, fuori dai palazzi e dai ministeri. Dove l’allarme evasioni segna rosso da mercoledì, appunto, quando il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha annunciato nel question time alla Camera che era pronto “ad horas un nuovo decreto legge per riportare in carcere i boss scarcerati per motivi di salute”. Motivi amplificati, trapela dai provvedimenti della magistratura di sorveglianza, anche dal contesto e dal rischio contagio che in carcere sorprende le persone certamente più indifese.
La corsa per il decreto
Da qui la corsa e la fatica per scrivere un decreto partito però con l’handicap di sembrare una correzione e un rattoppo della politica rispetto a decisioni che la magistratura (in questo caso di sorveglianza) assume in totale autonomia. E’ impossibile, oltre che inammissibile da un punto di vista costituzionale, che una legge corregga una sentenza.
Ieri fino al primo pomeriggio girava voce che “in serata ci sarebbe stato un cdm per approvare il decreto”. Ma non è facile scriverlo. Il Quirinale vigila per chiudere il prima possibile e con eleganza questa brutta situazione. Gli alleati di governo voglio controllare ogni virgola, ed è comprensibile dopo quello che è successo: il Pd, con il sottosegretario De Giorgis e il responsabile Giustizia Walter Verini, collabora per una soluzione; Italia viva fa quello che deve avendo congelato le ostilità su Bonafede (per mesi nel mirino di Iv contro la prescrizione infinita) e seppellito l’ascia giovedì pomeriggio nel faccia a faccia con Conte.
Il decreto intende riportare in cella (o in spazi sanitari all'interno di strutture ad hoc) i boss fuoriusciti dal carcere. La misura dovrebbe dare la possibilità ai giudici di sorveglianza di fare “nuove valutazioni” entro trenta giorni. Sarà una sorta di Tribunale del riesame del Tribunale di sorveglianza che non prevede alcun tipo di annullamento delle decisioni già prese. Preoccupa un po’, anche Conte, quanto ha detto Bonafede giovedì: “L’indipendenza dei giudici di sorveglianza è sacra, applicano la legge. Ma le leggi le scriviamo noi. I domiciliari sono stati concessi per l’emergenza sanitaria. Ma ora le condizioni sono cambiate”. Il confine e quindi lo spazio di azione è molto sottile. Le decisioni dei magistrati sono insindacabili e i tecnici di via Arenula, per lo più magistrati, sanno perfettamente quali sono i limiti costituzionali che il decreto non può varcare: le scarcerazioni sono dovute a ordinanze della magistratura e non si può intervenire con legge sulle ordinanze o sulle sentenze della magistratura perché verrebbe meno il principio di separazione dei poteri.
Il punto è che l’errore, l’ennesimo in questa storia, è stato commesso mercoledì con l’annuncio di un decreto: se una legge non può smentire una sentenza, non si è mai sentito un ministro della Giustizia che annuncia degli arresti.
Altri 456
Occorre fare presto. E’ necessaria una norma che eviti che altri 456 detenuti che hanno fatto richiesta di andare agli arresti domiciliari per motivi di salute aggravati dal rischio contagio e dal sovraffollamento possano andare agli arresti domiciliari. Lo stratagemma individuato potrebbe essere quello della “revisione mensile” dei provvedimenti presi dalla magistratura di sorveglianza che già sottodimensionata potrebbe però non riuscire a sostenere questo nuovo aggravio. E la promessa del ministro potrebbe risultare alla fine una pezza peggiore del buco. Due mesi terribili per Bonafede, iniziati ai primi di marzo con la rivolta nelle carceri causa Covid - ma probabilmente strumentalizzata dai boss che hanno intravisto nell’emergenza sanitaria l’occasione per uscire.
I due mesi più difficili
Se l’accusa del pm antimafia Nino Di Matteo ora membro togato del Csm - “nel 2018 Bonafede mi offri la guida del Dap ma in 24 ore cambiò idea, c’erano state pressioni dei boss per evitare che io ricoprissi quel ruolo” - sono state la miccia di questo gigantesco pasticcio, nessuno oggi sospetta che il Guardasigilli possa essere stato condizionato nella sua scelta di due anni fa. Anche la scorsa settimana, dopo la dimissioni dell’ex numero 1 del Dap Francesco Basentini, era girato nuovamente il nome di Di Matteo come successore. Il Dap ha cambiato i vertici - il ticket antimafia Petralia e Tartaglia - e Di Matteo è rimasto ancora una volta fuori. E forse questo ha provocato l’improvvida esternazione telefonica durante il talkshow “Non è l’arena”. Ma il periodo nero di Bonafede è iniziato due mesi fa: le rivolte in carcere causa Covid, i morti (13 detenuti, tutti tossicodipendenti), le richieste dei boss più vecchi e ammalati di ottenere il beneficio degli arresti domiciliari e ben 376 che sono già usciti. Le opposizioni e anche Italia viva, dalla maggioranza, hanno chiesto conto e ragione di quello che stava succedendo. Le dimissioni di Basentini non sono bastate. Le parole di Di Matteo hanno solo buttato altra benzina su un fuoco già acceso. Ma è sulla scarcerazioni, e non certo sulle parole di Di Matteo, che il ministro Bonafede adesso rischia il posto.
Malumori in maggioranza
In un paese normale, senza emergenza sanitaria, si sarebbero già dovuti dimettere entrambi. Ma ora, se cade Bonafede, anche il governo rischia. Il Movimento lo difende a spada tratta: “Attaccare lui significa attaccare tutti noi” Lo protegge Conte che deve a Bonafede l’ingresso in politica. Lo protegge Di Maio: “Bonafede è straordinario, è il ministro spazzacorrotti”. La linea di palazzo Chigi è che “il via libera alle scarcerazioni non sia da collegare al Guardasigilli ma a decisioni singole dei giudici”. La via dello scaricabarile. Nel Pd c’è imbarazzo. Orlando ministro e Migliore sottosegretario furono granitici nel dire no alle scarcerazioni di Riina e Provenzano che furono assistiti nelle strutture sanitarie nei penitenziari. E anche nel Movimento ci sono delle crepe. Le guida Nicola Morra, presidente dell’Antimafia. Le amplifica chi sussurra: “Durante la quarantena Bonafede non è mai stato in ufficio ma a casa a Firenze…”.
La mozione di sfiducia
In questo clima le opposizioni hanno presentato al Senato la mozione di sfiducia. Il premier, che ha il suo da fare con il decreto Rinascita per cercare di dare fiato ad un paese economicamente in ginocchio, non ne vuole sapere di perdere energie sul dossier Bonafede. Anche per questo ha accettato di convocare Italia viva, da sempre critica con il Guardasigilli con cui ha solo congelato la battaglia sulla prescrizione. Ai renziani Conte ha promesso di chiudere sulla regolarizzazione dei migranti che possono essere impiegati in agricoltura. Il Movimento, che faceva resistenza, ha abbozzato. Ettore Rosato, presidente di Italia viva, ieri ha confermato: “Voteremo No alla mozione di sfiducia contro Bonafede”. A Italia viva in fondo è più utile un ministro - e capodelegazione del Movimento - indebolito che agitare la crisi.
Lega e Fratelli d’Italia all’attacco
Le opposizioni sono al lavoro per logorare il ministro della Giustizia. Forza Italia si gode la scena della lotta fratricida “tra due campioni del giustizialismo”, dei “puri che si epurano a vicenda”. I deputati di Fratelli d’Italia in Commissione antimafia ieri hanno provato a smontare lo schema di difesa del governo, cioè scaricare sui giudici di sorveglianza la responsabilità di quanto sta accadendo. “I documenti che il governo ci ha consentito di visionare in Commissione antimafia, aggiornati solo al 25 aprile - ha spiegato Wanda Ferro (Fdi) - dimostrano quanto sia fuorviante il tentativo del governo di scaricare sui giudici di sorveglianza la responsabilità delle scarcerazioni dei mafiosi con il pretesto del coronavirus. Infatti, secondo i dati ancora parziali, oltre 60 scarcerazioni non sono state richieste dai difensori dei detenuti, ma dall'amministrazione penitenziaria”. Il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli la mette così: “Se anche un solo dei boss usciti dovesse evadere, Conte e Bonafede fanno meglio ad espatriare”.
Allungare i tempi
Palazzo Chigi vorrebbe approvare il prima possibile il decreto che riporta in carcere i boss. Ma è difficile che questo avvenga prima del decreto economico, in questo momento l’assoluta priorità. L’obiettivo è allungare il più possibile i tempi della mozione di sfiducia. Questo però non impedirà che Bonafede venga “sottoposto” nei prossimi giorni ad una serie di verifiche parlamentari. Il ministro parlerà martedì alla Camera. Il giorno successivo al Senato. Balla ancora l’audizione in Commissione Antimafia. E anche il Copasir lo vuole sentire sul rischio infiltrazioni mafiose nel tessuto economico nell’Italia piegata dal virus. Da una cosa, poi, è inevitabile passare all’altra. Ognuna di queste occasioni può diventare quindi una trappola. Ogni giorno può accadere qualcosa. Una nuova scarcerazione. O, peggio, un’evasione. Un logoramento che non aiuta il governo.
Tiscalinwws (Claudia Fusani)