Finisce 7 a 1 per i gialli sui blu, ma in questo caso il risultato è la cosa che conta meno. Più che una partita di calcetto, quella tra i detenuti del carcere di Bergamo e i loro figli di sabato 15 dicembre, è stata una festa di Natale in anticipo, con tanti sorrisi di gioia e qualche lacrimuccia di emozione.
Una ventina di carcerati ha potuto abbracciare piccoli e mogli grazie all’evento organizzato da Bambinisenzasbarre Onlus, impegnata nella cura delle relazioni familiari durante la detenzione di uno o entrambi i genitori (sono più di 100mila in Italia i bimbi in questa situazione), in collaborazione con la Uisp Lombardia e con il patrocino della direzione del penitenziario di via Gleno. Proprio il nuovo direttore, Teresa Mazzotta, arrivata a luglio dopo la bufera giudiziaria che ha travolto Antonino Porcino è stata tra i promotori dell’iniziativa: “È importante garantire ai nostri detenuti un percorso di recupero interno ma anche esterno – le parole di Teresa Mazzotta – , ossia cercando di far mantenere loro i rapporti che avevano. In questo modo sono anche più motivati a comportarsi bene in cella per cercare di uscire prima e tornare dai propri cari. Per questo organizziamo giornate simili”.
Occasioni come una partita di calcio, lo sport più praticato e che più fa legare un padre e un figlio, sono appuntamenti imperdibili per chi vive in una cella. Più che i gol, però, si conteggiano i baci e gli abbracci.
Il momento più emozionante è quello dell’ingresso nella piccola palestra della casa circondariale. I parenti entrano da una porta, i loro cari dietro le sbarre da un ingresso dalla parte opposta. Si corrono incontro e si stringono forte. Qualche lacrimuccia scappa anche sul volto di chi è dentro per rapina o spaccio, del resto sono uomini prima che condannati. Prendono in braccio i loro piccoli e li alzano al cielo come se fossero una Champions League. Non è facile vivere per giornate intere senza vederli.
Per legge ogni detenuto ha a disposizione un massimo di otto ore al mese, da dividere come vuole, per poter incontrare i propri parenti. “Sono sempre troppo poche – commenta Ezzatt, marocchino 35enne dentro per spaccio, che ha quattro figli – per fortuna ci sono eventi come questo che ci permettono di stare di più insieme ai nostri amati campioncini”.
“Ho detto ai miei tre piccoli che sono qui per lavorare – racconta Roberto, 38enne campano, in cella per furto – , non è facile vivere lontano da loro, in particolare in questo periodo dell’anno di festa e di unione”.
C’è chi, come il bergamasco Alessandro, non vede l’ora di lasciare via Gleno: “Mi mancano pochi mesi e poi potrò stare di nuovo con i miei due gemellini. Sono uno più forte dell’altro a giocare, faranno carriera. Quando esco insegnerò loro a dribblare e a segnare”.
Se l’ingresso in palestra è stato l’attimo più gioioso, ben altro clima si respira al termine della gara. C’è spazio ancora per una merenda a base di succhi e torte. Poi la separazione, detenuti in cella e familiari a casa, con la speranza che arrivi presto il giorno in cui poter tornare a vivere sotto lo stesso tetto.
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