Era stato "scippato" da Torino per una manciata di minuti il caso Fonsai, ma sulla base di una testimonianza troppo vaga e incerta, secondo la Corte d'appello. Per niente supportata da documenti. Insufficiente a radicare qui la competenza del processo che sei anni fa è stato portato via da Milano, dove ha sede la Borsa e abitualmente si decide delle accuse di aggiotaggio informativo. Mentre i giudici, con queste motivazioni, calavano la scure sul processo Fonsai, tranciando un nodo che era stato stretto nel 2013 tra mille discussioni - quello sulla competenza territoriale - si apriva contemporaneamente un nuovo scenario: l'ombra di una richiesta di risarcimento per ingiusta detenzione per Giulia Ligresti. " Il mio pensiero va a tutti coloro che subiscono ogni anno la violenza del carcere da innocenti" ha dichiarato appena rimessa in libertà il 1 aprile la secondogenita di Salvatore.
E due settimane dopo, il suo ufficio stampa ha fatto sapere che ora è anche libera di chiedere un risarcimento economico per il danno subito. La cifra? Troppo presto per stabilirlo. Ma fosse anche un solo euro, sarebbe la beffa definitiva di questo inestricabile pasticcio giudiziario.
"Non si può non rilevare l'incertezza sull'effettiva consistenza della mailing list indicata dal funzionario Giancarlo Lana ma soprattutto l'approssimazione oraria di un'operazione neppure da lui eseguita e che poteva essere stata fatta certamente pochi minuti dopo " : il giudice Elisidoro Rizzo, presidente della prima sezione penale della Corte d'Appello di Torino, parte da qui per spiegare le ragioni della sentenza che il 12 marzo si è abbattuta sul Palazzo di Giustizia come una doccia gelata. Il suo collegio si è dichiarato incompetente in apertura del processo e ha annullato tutte le condanne pronunciate in primo grado, nel 2016, dal tribunale del capoluogo piemontese: 6 anni a Salvatore Ligresti ( morto nel maggio 2018 a 86 anni), 5 anni e 8 mesi alla figlia Jonella, 5 anni e 3 mesi all'ex ad Fausto Marchionni, 2 anni e 6 mesi all'ex revisore Riccardo Ottaviani. I reati contestati: aggiotaggio informativo e false comunicazioni sociali in relazione a una voce di bilancio 2010, la riserva sinistri, che secondo l'accusa venne sottovalutata dolosamente per 600 milioni. Ora è tutto da rifare. E a Milano. Perché a Torino, secondo la Corte d'Appello, questo processo non si sarebbe mai dovuto celebrare.
La decisione (non impugnabile) arriva alla fine di una serie di catastrofici pronunciamenti che hanno letteralmente raso al suolo una delle più delicate inchieste della procura di Torino degli ultimi anni. Non resta che lasciare che tutte le carte traslochino in Lombardia e che ricominci lì il processo, anche se le premesse sembrano suggerire da subito un epilogo radicalmente diverso.
È proprio a Milano che Paolo Ligresti, figlio di Salvatore, ha ottenuto l'assoluzione per le stesse accuse in primo e in secondo grado ( il 10 luglio 2018) in un filone del processo che era stato dirottato fin da subito da Torino, dal giudice per le indagini preliminari. Per Ligresti jr, ai tempi consigliere nel cda del gruppo assicurativo, la richiesta di assoluzione è partita dalla stessa accusa milanese: sia il pm Luigi Orsi sia il pg Celestina Gravina, al termine di argomentate requisitorie, lo hanno sollevato da tutte le accuse. La seconda sezione di Corte d'Appello presieduta da Guido Piffer ha assolto anche l'ex attuario di Fonsai, Fulvio Gismondi, e l'ex dirigente Pier Giorgio Bedogn, condannando al pagamento delle spese di giudizio la Consob e alcune migliaia di risparmiatori che si erano costituiti parte civile.
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