L'uomo è in carcere per reati che nulla hanno a che fare con i figli. Il tribunale per i minorenni ha emesso un decreto che annulla la perdita della potestà. Il detenuto perde la responsabilità genitoriale solo se "violi o trascuri i doveri ad essa inerenti o abusi dei relativi poteri con grave pregiudizio per i figli". Nessuna decadenza automatica, dunque, neanche quando la condanna comporta la pena accessoria della sospensione dalla stessa responsabilità genitoriale, se il detenuto è un bravo padre o una brava madre. Lo ha stabilito il Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta, pronunciandosi sul caso di un padre detenuto per reati che nulla avevano a che fare con i figli, ma nonostante ciò gravato dalla pena accessoria della sospensione dal ruolo paterno. A prevalere, con il decreto del Tribunale di Caltanissetta (presidente Antonino Porracciolo, giudice relatore-estensore Alessandra Gatto) è stato dunque il diritto del minore alla bigenitorialità.
Durante le audizioni dei bambini, secondo quanto riferito dalla pronuncia, era emersa l'esistenza di un forte legame con il padre, che si era occupato delle loro esigenze fin dalla nascita ed aveva partecipato, compatibilmente con il regime carcerario, alle loro vite. La circostanza era stata confermata dalla madre che, per non sciupare la relazione tra i figli e il padre, li accompagnava periodicamente a fargli visita e ne sollecitava i contatti telefonici.
Per i giudici non sono esistiti, quindi, motivi validi per recidere il rapporto prole-genitore. Nel sostenerlo, il Tribunale ha voluto marcare come dalla reclusione non sia derivata automaticamente la decadenza dalla responsabilità genitoriale, anche se già sospesa per interdizione legale e che anzi "l'autorità giudiziaria è tenuta ad effettuare una verifica, nel caso concreto, in ordine alla sussistenza di condotte pregiudizievoli del genitore nei confronti dei figli" che possano giustificare una pronuncia di decadenza.
La pronuncia del Tribunale per i minorenni di Caltanissetta rammenta inoltre che l'articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Ue sancisce il diritto del minore a intrattenere regolarmente rapporti personali e diretti con entrambi i genitori; un diritto ugualmente sancito anche dalla Convenzione di New York. Così anche, il nostro Codice civile che all'articolo 315-bis riconosce il diritto dei figli a essere cresciuti, mantenuti, educati e assistiti moralmente dai genitori e all'articolo 330 consente al giudice di pronunciare la decadenza per chi violi, trascuri i suoi doveri o ne abusi.
Nella vicenda esaminata dal Tribunale per i minorenni di Caltanissetta non solo il detenuto non era colpevole di reati che comportassero di per sé la perdita della responsabilità, ma era riuscito a coltivare un rapporto significativo con i figli e ad adempiere ai suoi doveri nonostante la restrizione. Un atteggiamento, auspicato dallo stesso ordinamento penitenziario teso a favorire la responsabilizzazione dei detenuti agevolandone gli incontri con i figli, che i giudici, considerato l'impegno paterno, hanno premiato con il non luogo a provvedere sulla decadenza dalla responsabilità genitoriale. A trionfare è infine il principio di uguaglianza: il Tribunale di Caltanissetta ha rilevato infatti che "un eventuale divieto di intrattenere contatti con i propri figli posto nei confronti del genitore in stato di detenzione", che abbia adempiuto ai propri doveri genitoriali, determinerebbe una "violazione del diritto di uguaglianza" non solo nei confronti del genitore detenuto, "ingiustificatamente limitato" nel suo "diritto di essere parte", ma anche nei confronti dei figli minori, che "a causa dello stato di detenzione dei propri genitori assisterebbero ad una illegittima compressione dei propri diritti".
La Repubblica