Era un detenuto modello, Massimo Tamagnini, 55 anni, sposato, padre di una ragazzina, una vita da operaio sui monti della Garfagnana. Nel carcere di Lucca doveva scontare una pena passata in giudicato di 1 anno e 10 mesi per reati contro il patrimonio e mancavano pochi mesi alla libertà. Ma era anche malato Massimo e il suo avvocato aveva chiesto per tre volte al tribunale di sorveglianza di Firenze la revoca della custodia cautelare e gli arresti domiciliari. Istanze rifiutate, nonostante l’uomo soffrisse di gravi patologie croniche provocate da una forma rara di glicemia che, secondo i legali, erano assolutamente incompatibili al regime carcerario. Tamignini è morto in cella il giorno di Santo Stefano e i compagni, che hanno descritto la detenzione di Tamagnini una lunga e incomprensibile agonia, hanno iniziato una durissima protesta.
Le tensioni
Nel carcere di San Giorgio c’è stato persino un embrione di rivolta: i detenuti hanno iniziato a sbattere gli oggetti sulle inferriate delle celle poi c’è stata anche una colluttazione e alcuni carcerati sono stati portati nell’infermeria del carcere. Il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe, protesta. «È successo — scrive in una nota Donato Capece, segretario generale — che il 26 dicembre è morto un detenuto italiano, sembra per cause naturali, e nella stessa serata gli occupanti di due sezioni hanno inscenato una protesta con battiture sonore sulle inferriate. Nella prima mattinata del 27 dicembre, invece, un detenuto italiano ha gettato del caffè verso un detenuto tunisino, il quale poi è stato aggredito fisicamente per le scale della Terza sezione. Lo straniero è stato inviato presso l’ospedale facendo poi rientro in carcere verso le 15». «Era prevedibile — prosegue Capece — che vi fosse una rivalsa, e infatti verso le 13.15 nei cortili della Terza sezione, un tunisino ha cercato prima di aggredire con pugni tre italiani poi ha divelto la porta e armatosi di un ferro ha cercato di colpire gli stessi. Prontamente gli agenti della polizia penitenziaria sono intervenuti evitando il peggio». «Purtroppo — prosegue — nella Terza sezione sono ristretti vari detenuti con problemi psichiatrici e per vari motivi si sfogano aggredendo verbalmente il personale, creando caos nei reparti. A Lucca abbiamo un personale di Polizia Penitenziaria sempre più sotto organico, senza mezzi idonei e senza adeguati fondi in una struttura penitenziaria critica nell’indifferenza totale di tutte le autorità preposte ad una legittima esecuzione penale. Gli eventi critici violenti ormai sono quotidiani e ricadono oltre che sugli stessi detenuti anche e soprattutto sulle donne ed uomini in divisa della polizia penitenziaria. Eroi silenziosi. È inammissibile che il personale di Polizia Penitenziaria debba continuare a subire queste aggressioni, senza avere alcun mezzo idoneo, tipo il taser, per difendersi». Adesso ci si chiede se quell’uomo poteva essere salvato e la procura di Lucca, dopo aver disposto l’autopsia sul corpo di Tamagnini, ha aperto un’inchiesta. Il pm Antomio Mariotti vuole capire se quel detenuto modello affetto da una patologia cronica poteva essere salvato con una scarcerazione.
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