Fa paura la scarsa igiene, il contatto con la saliva e l’urina di una persona con HIV e due detenuti su tre sono convinti che le zanzare trasmettano l’HIV. Invece sono sottostimati i rischi legati ad eventuali risse ed il possibile contagio scambiando spazzolini e rasoi. Il dato più allarmante è che un detenuto su tre afferma che non assumerebbe la terapia se scoprisse di avere l’HIV. Questo l'esito del progetto di Nps Italia Onlus, Università Ca’ Foscari di Venezia, SIMSPe
Il video “Detenuti, ma liberi dall’HIV” racconta l’esperienza del progetto Flew (Liberi di star bene in prigione con l’HIV) attraverso le voci dei protagonisti che hanno partecipato alle azioni di educazione e prevenzione all’HIV e di lotta alla discriminazione delle persone con HIV detenute. Il video è’ stato presentato durante la 22°conferenza internazionale sull’Aids ad Amsterdam in una delle sessioni organizzate da EATG dal titolo “Prison Health and Beyond”.
Per la prima volta in Italia all’interno di 10 strutture penitenziarie è stato possibile introdurre, grazie al lavoro del Simpsee, i test rapidi capillari per l’HIV che sono stati ben accolti anche dalla polizia penitenziaria e non solo dai detenuti. Sia i Direttori delle strutture penitenziarie sia il dirigenti delle Polizia Penitenziaria sono stati coinvolti in ogni fase al fine di favorire la completezza delle azioni.
L’azione centrale dei Peer education è stata affidata a due ex detenuti con HIV, attivisti di Nps Italia onlus che hanno saputo stabilire un dialogo orizzontale con i detenuti insieme a una supervisione di attività di ricerca coordinata dall’università Ca’ Foscari che ha evidenziato che l’HIV nelle carceri fa paura, ma per i motivi sbagliati.
Fa paura la scarsa igiene, il contatto con la saliva e l’urina di una persona con HIV e due detenuti su tre sono convinti che le zanzare trasmettano l’HIV. Gli agenti di Polizia Penitenziaria sono preoccupati dallo sputo che riferiscono essere una forma comune di ribellione da parte di alcuni detenuti. Tutti timori derivano da credenze sbagliate, ma che creano paure e possibile emarginazione dei detenuti con HIV.
Invece sono sottostimati i rischi legati ad eventuali risse tra detenuti, considerate innocue da metà degli intervistati mentre costituiscono un pericolo reale perché la fuoriuscita di sangue è in questi casi la norma. Anche il rischio di possibile contagio scambiando spazzolini e rasoi è molto sottovalutato. Ma il dato più allarmante è che un detenuto su tre afferma che non assumerebbe la terapia se scoprisse di avere l’HIV. E’ un dato preoccupante e incomprensibile considerando che le terapie oggi disponibili sono molto efficaci e consentono di condurre una vita pressoché “normale”. Ma un detenuto che non crede nella terapia non avrà probabilmente motivazione a fare il test per l’HIV e lo terrà nascosto se scoprisse di averlo.
I risultati della ricerca sono un vero patrimonio per comprendere quali interventi devono essere fatti per una prevenzione e una lotta sempre più efficaci all’HIV nei penitenziari italiani. L’importanza del progetto è stata da ultimo riconosciuta a livello europeo e inserita com best practice delle ultime linee guida “Active-case-finding-communicable-diseases-in-prisons”.
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